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9 errori e ¾ che (forse) fai anche tu

Da qualche anno a questa parte – da quando, cioè, mi occupo di editing, correzione di bozze e traduzione –, la mia capacità di scovare gli errori all’interno di un testo, anche quando non sto leggendo per lavoro, si è acuita. Ah, la deformazione professionale!

Mi sono resa conto che anche giornalisti e traduttori, tanto per citare un paio di categorie, a volte commettono errori che, sebbene possano sfuggire durante una lettura frettolosa, non sono affatto di poco conto.

Siamo tutti umani, certo, e un refuso o due possono capitare a chiunque. Non è a questi, infatti, che mi sto riferendo: non avrebbe nemmeno senso scriverci un post.  Gli errori di cui ti parlerò oggi sono quelli commessi, il più delle volte, nella convinzione di fare la cosa giusta.

Se vuoi scoprire quali sono – e perché sono 9 ¾ e non 10 –, continua a leggere.

1. DA anziché DÀ

Da, in italiano, è una preposizione semplice. E basta. La terza persona del verbo dare, all’indicativo presente, è (esempio: “Marta dà ottimi consigli”). Forse per un’assonanza con *và e *fà, che in effetti non esistono, molti credono che l’accento non ci voglia nemmeno in questo caso.

2. DÌ anziché DI’

La seconda persona del verbo dire, all’imperativo, vuole l’apostrofo: di’ (esempio: “Di’ la verità!”). Non bisogna confonderlo con , che è un sostantivo ed è un sinonimo di giorno.

3. E’ anziché È

La scelta di sostituire l’accento con l’apostrofo è spesso vista come la più comoda, soprattutto se si scrive al PC, perché le vocali maiuscole accentate non sono presenti sulla tastiera. “Tanto si capisce lo stesso, dai!” è il pensiero più comune. Ti do la chiave per evitare questo brutto errore: tieni premuto il tasto Alt mentre digiti 0200 (o, in alternativa, 212) e avrai la tua È senza troppi sforzi.

4. QUAL’È anziché QUAL È

Si tratta di un troncamento, ovvero della soppressione, in questo caso di una vocale, alla fine di una parola (quale èqual è). Qual esiste come forma autonoma, quindi non c’è bisogno di aggiungere l’apostrofo.

5. DIFFIDARE DA anziché DIFFIDARE DI

La questione è davvero semplice: la forma diffidare da, molto diffusa, è errata. Con il significato di non fidarsi, non avere fiducia in qualcosa o in qualcuno, il verbo diffidare è sempre seguito dalla preposizione di (esempio: “Diffidate delle imitazioni”).

6. D’ALTO BORGO anziché D’ALTO BORDO

La forma corretta è d’alto bordo, con la d. È probabile che la locuzione risalga alle marine veliche, quando alto bordo indicava un vascello a più ponti, molto ben armato e perciò potente. D’alto bordo, infatti, significa di elevata condizione sociale.

7. COLLUTTORIO anziché COLLUTORIO

La forma corretta è collutorio, con una sola t. Deriva dal latino collùtus, che a sua volta proviene da collùere, ovvero sciacquare.

8. SI anziché SÌ

Può sembrare banale inserirlo in questo elenco, ma è un errore davvero molto diffuso, anche negli articoli di giornale. , con l’accento, è un avverbio di affermazione (esempio: “Sì, va bene”). Si, senza accento, è il pronome riflessivo atono di terza persona (esempio: “Si è innamorata”).

9. Virgola tra soggetto e predicato

Separare il soggetto dal verbo con una virgola è un errore comunissimo. La tentazione di inserire una virgola dopo un soggetto molto lungo è comprensibile, perché si tende a pensare che la virgola debba seguire le pause che facciamo durante la lettura ad alta voce. Non è così, non sempre.

Ecco un esempio: “Leggere un buon libro davanti al camino mentre fuori piove è una delle cose che preferisco”. Farai una pausa per prendere fiato dopo “piove”, cioè dopo il (lunghissimo) soggetto di questa frase, ma non dovrai inserire una virgola per segnalare quella pausa.

Il discorso cambia se il soggetto e il verbo vengono separati da un inciso: in questo caso, la frase incidentale deve essere racchiusa tra virgole. Ecco un esempio: “Romeo, il gatto di mio fratello, mi è corso incontro miagolando”.

9 ¾. SE STESSO anziché SÉ STESSO

Sì, hai letto bene. Dimentica quello che ti hanno insegnato a scuola: quando è seguito da stesso o medesimo, non c’è alcun motivo per cui si debba rimuovere l’accento.

La Grammatica italiana di Luca Serianni chiarisce ogni dubbio al riguardo:

Senza reale utilità la regola di non accentare quando sia seguito da stesso o medesimo, giacché in questo caso non potrebbe confondersi con la congiunzione: è preferibile non introdurre inutili eccezioni e scrivere sé stesso, sé medesimo.

Tuttavia, la forma se stesso è entrata nell’uso comune – anzi, è la più diffusa – e per questo è ormai accettata (ecco il perché della frazione nel titolo). Ora che sai qual è la versione davvero corretta, però, la prossima volta che dovrai scrivere sé stesso, ricordati l’accento.

Il post ti è stato utile per imparare qualcosa di nuovo sulla lingua italiana o per chiarirti alcuni dubbi? Spero di sì. Magari, da adesso, anche tu presterai maggiore attenzione a questi dettagli.